sabato 10 marzo 2012

Il primo cesso





Il primo cesso della Borgata Finocchio è una frasca piena di camionisti e transessuali, scritte sbilenche su latrina e diarrea e cielo d’asfalto tutto sopra come un fascio di luce neon per un panino che non avrai mai, prendi quel numero di cellulare tracciato con grafia incerta tossica ed alcolica, morbo di Parkinson con forte introflessione anale, pompini bulgari ed albanesi e problemi ormonali e psicologia spicciola di amore filiale di questi trans mitologici coi cazzi blesi e le tette plastiche e il cazzo eretto e il naso rifatto cesellato dalla cocaina e gli accenti sudamericani, cellulare lasciato con tanta speranza e umanitario senso di partecipazione su una tavola di legno a cui ogni spompinatore si appoggia per fare la cacca.
Messaggi esistenziali di sesso promiscuo, girotondo e carnevale di passione smodata, morte totale dell’ortografia perché troppo spesso la trasgressione sessuale si accompagna alla trasgressione sintattica e grammaticale, bravo uomo rumeno cerca cazzo da adorare, diventa tragicamente bravo omo rumeno ceca cazo da adorare, e qui puoi perdonare al ministro degli esteri e alla caritas e alla integrazione comunitaria e razziale il peso della ignoranza delle campagne di bucarest, l’integrazione razziale dei preti è amore è cazzo nel culo di bambini da sverginare fai la comunione con dio cristo e lo sperma raggrinzito del prete di frontiera karl marx carlo giuliani e la nambla.
Paramenti pentecostali viola, camionetta della cooperativa sociale, prendete preservativi ulula il prete in aperto contrasto con la dottrina e la fede, prendete preservativi come li prendo io per confessare analmente i vostri pargoli, battesimo di sangue e di psicologia ritorta, bravi cristiani questi trans, maya 2012 e Marc Dutroux, gusti simili nel nome del padre del figlio e di quanto ci piace odiare, è una strada lunga e catramosa chiamata Casilina sporca ed ingombra di capannoni e di camion, il prete è fermo in mezzo alla strada accanto ad una piazzola tetramente illuminata da un lampione tardo vittoriano che sfarfalla bargigli arancioni, me lo rimiro con quel disgusto nietzschano da montagna e da nebbia, sento lo stridore dei treni della deportazione, contro il prete si ha solo il campo di concentramento, neve e camini e comignoli e fornaci a pieno regime, si fottano loro padre pio e santa maria goretti, la sifilide e l’aids e la clamidia scorrono letali come infezioni sacrali katal huyuk del sesso orale, dove è il Papa dove sono le cicatrici dove è la redenzione l’epifania dove è la strada di damasco quando attorno hai solo le puttane della Borghesiana.
Anche Maria Maddalena era una prostituta, bofonchia il Don riallacciandosi la patta, con quel cazzetto moscio e ricurvo come uncino, la minorenne albanese è paonazza e sporca di sperma, me lo immagino preciso e sputato il maiale, fatto di cocaina, ad intimare prestazioni, a bestemmiare, succhia il cazzo di cristo le diceva, nutriti della merda del signore, il mio sangue è il tuo sangue, e giù una sequenza di soddisfacenti porco dio perché ad un prete in fondo per godere basta poco, una fica minorenne e una sapida bestemmia, anche maria maddalena continua anche maria maddalena faceva sesso, ma lo stiamo circondando e nessuno di noi ama particolarmente gesù, fa freddo è notte ed il posto è di merda, siamo tutti lontani da casa intirizziti stanchi e carichi di odio, odio nei confronti di gesù e di questo prete, ascoltiamo i Kylesa e i Pelican e smozzichiamo panini e sigarette e birra, prete, dice uno, vieni con noi, e il verbale sarà speciale, lo portiamo dove il folto della boscaglia promette sospiri e gemiti di camionisti facendoci strada coi manganelli e le lucine elettriche, vieni con noi, lui borbotta protesta piange anzi piagnucola come una cacatina di mosca, lo sanno i tuoi parrocchiani, lo sanno che vieni a fare di notte, eh, ?
Avanziamo come un plotone d’esecuzione, lui ha un colorito cadaverico e puzza, esattamente come tutti i preti, puzza di tabacco di qualche droga erbacea di paura e si sudore e di carne est-europea, cosa volete farmi bofonchia con i lucciconi agli occhi, questo è un abuso, non potete, ho dei diritti, certo dico sorridendo i diritti della costituzione repubblicana dell’antifascismo e della pedofilia, sono le stesse cose dice quello dietro di me, annuisco, potremmo torturarti ed ammazzarti e spargere i tuoi resti ai quattro venti, la testa nell’Aniene, le braccia sulla Casilina, le gambe sulla Prenestina, il tuo cazzo a Via di Bravetta, perché il cazzo a Bravetta ? mi chiede uno, perché ci sono tante chiese da quelle parti, santuari e santità mica vorremo deluderli, no ?
Stiamo ridendo tutti, mentre il piccolo stereo rimanda accenni drone da foresta e plenilunio, è molto black metal questa marcia della morte e della paura, non abbiamo facepainting ma pistole e divise.
Satana non c’entra niente. E’ solo una spicciola vendetta da periferia romana.
Scommetto che vai dai No Tav, gorgoglia una voce davanti a me, il prete dice no no per carità, per caritas, per via marsala per san lorenzo, per tutti gli Dei, No Tav, napalm e via andare, centrali nucleari, così ci toglieremmo dal cazzo pure questi camionisti che cagano nei boschi e giocano ad incularella nei depositi ATAC, finirà tutto questo, finirà come finiranno i preti ed il loro dio di merda.
La latrina centrale è dove tutti i miasmi spermatici e merdosi si assommano, dove i preservativi si accatastano inerti facendo marcire e inacidire il liquido seminale, dove la merda forma cataste di letame essiccato, dove divani putridi e brodosi osservano prestazioni sessuali sempre più degradanti.
Spogliati, gli ordiniamo, il suo timido accenno di ritrosia è lenito da una manganellata che gli apre una ferita sulla fronte, da cui zampilla del sangue. Piange, singhiozza, cianotico come il porco dio. Cade in ginocchio con le dita a schermare gli occhi e in un patetico tentativo di tamponare la ferita.
Spogliati, stronzo.
Questa volta esegue, senza particolare ritrosia.
Nudo è rivoltante. Un involtino primavera flaccido e bianchiccio, pieno di rughe. Questa sarebbe l’autorità della Chiesa ? Andiamo bene, andiamo proprio bene.
Una volta nudo, ci avviciniamo e lo colpiamo a calci, facendolo finire nel centro putrescente della merda, gli sfugge un urlo secco ed improvviso, di raccapriccio dolore ed umiliazione, che è poi in fondo ciò che potrebbe volere questo miserabile scarafaggio.
Ti viene il cazzo duro in quel pantano di broda marrone ? Eh, stronzo?
Ma soprattutto, ti viene mai il cazzo duro, a parte quando devi mellifluamente sborrare in faccia a qualche ragazzina ?
Impiastricciato e piangente, al limite del soffocamento, implora misericordia.
Non ci sono cieli azzurri, qui, gli dico, il cielo azzurro non è il cielo di Roma, brutto pezzo di merda. Ricordatelo. Ci prendiamo i suoi vestiti e lo abbandoniamo nel folto della boscaglia, e ce ne andiamo ripartendo con le macchine.
Meditazioni notturne, per te brutto stronzo.

venerdì 9 marzo 2012

Con le spalle al muro





Puoi riconoscere un vigliacco dal sudore, da quella puzza incancrenita di ascella a ruota libera piscio di cane in bocca e sulle tempie, tempie che pulsano e che puzzano, richedendo misericordia come la costa concordia, inverno del nostro scontento tutti a bordo di questo figlio bastardo quartiere dimenticato  dal piano regolatore verde pubblico ma un giardino con stronzi di cane e spacciatori piegati dalla rigidità della stagione è una non-esistenza,  è Bastoggi e Stalingrado ma senza panzer senza elmi d’acciaio ma bustine e stagnole e carta da parati scrostata dietro cui nascondere il relax confortevole di un viaggio a Regina Coeli.
Guardo il ragazzo – indossa quella tuta adidas che se vivi a San Giovanni puoi definire vintage, ma che dalle parti di Boccea è solo molto IPM Casal del Marmo, rossa con righine bianche, l’andatura dinoccolata povera ed antica dei tossici e dei borgatari rimasti orfani di Pasolini, ha uno sguardo vacuo, istupidito dalle ore di play station, dalla coazione a ripetere di rosticceria articolo 187 e notti raminghe randagio tra discoteche in cui è sistematicamente rimbalzato alla porta quelle notti da naufragio quando rimane da solo, in camera, coi poster dei Colle der Fomento e di Ice One e le locandine virali di qualche rave, la madre lo implora di abbassare lo stereo, e di togliersi quella tuta che puzza, ma non di sudore.
Guardo questo ragazzo e le sue corse disperate sulla tangenziale, a fare consegne di pasticche e di pasticcini per eroinomani, sotto il cielo grigio incupito e cementificato di una città che ha dimenticato il senso della parola amore.
Il rumore di tamburi lontani, una eco che va scomparendo come i lampi all’orizzonte, retate, duecento pattuglie di polizia e carabinieri coi lampeggianti blu ad irrorare di paura la notte, stivali del radiomobile, i ricatti morali e materiali del manganello i soprusi, sei una merda dice il maresciallo facendogli leccare la punta degli stivali, gesuddio pensa un brigadiere abbastanza novizio e sufficientemente frocio per provare un brivido da cazzo duro, un sussulto temprato da notti passate allo Sphinx a fistare il suo partner, ma anche una qualche vaga memoria di garanzie costituzionali, non è giusto tutto questo pensa mentre il maresciallo continua a farsi sciusciare lo stivale dalla lingua piangente del malcapitato, questo non è un criminale sussurra un sovrintendente capo della polizia entrato casualmente nella stanza alla ricerca di un ufficiale per fargli firmare l’annotazione di reato, questo è un povero coglione, lasciatelo stare che così bofonchia farete di lui un maldido potenzialmente ergastolano, non mettetelo con le spalle al muro, ma il maresciallo non ha orecchie per intendere ma solo stivali da esibire scintillanti e prussiani ben bene insalivati, è saliva di tossico borbotta un sottotenente che pur gerarchicamente superiore è nei fatti un subordinato, troppo giovane troppo timido e sbarbato per poter capovolgere l’andamento della situazione e la brama giudiziario-sessuale del maresciallo, anzi gli guarda con timore oggettivamente reverenziale le decorazioni i nastrini del Tuscania e dei turni in Iraq che svettano sulla divisa, proprio sul petto.
Guardo questo ragazzo piangente, vessato, umiliato – l’unica cosa davvero positiva, mi dico, è il rovesciamento dei principii costituzionali. Magra consolazione però. Lui non parla, è fedele al rigido codice dei film e della malavita di plastica, di quella che lui pensa essere la malavita, e di cui sa tutto perché lo ha sentito nei testi rap. Musica da negri, e quindi di merda, dice un ispettore in borghese e tutti poliziotti e carabinieri annuiscono, un anziano e canuto maresciallo si lancia in una filippica contro la figlia rea di ascoltare quell’abominio su basi elettroniche, i poliziotti ridono e gli sbattono la tragica evidenza in faccia, tua figlia se la ingropperà qualche negro della stazione termini, ma porco dio urlacchia il maresciallo vecchio, il sottotenente non ha più fiato in corpo per una reprimenda e si limita a dire che non si dovrebbe bestemmiare, ironia penso, quanta ironia, non si dovrebbe bestemmiare ma intanto il tossico sta sempre carponi nella metafisica trasposizione sadomaso della giustizia, è solo questione di priorità, e di tipi di droga.
Sai che questo pezzo di merda, e non c’è divisa nella stanza e in tutta la caserma più in generale che abbia utilizzato epiteti più amorevoli e gentili del “pezzo di merda”, mi sibila nell’orecchio un vicequestore aggiunto che ricordavo già da prima di questa operazione, si era caricato di shaboo e crack ed eroina, shaboo, dice scandendo ogni singola lettera, eh shaboo ripeto io ma l’eco muore fuori in strada dove ha iniziato a piovere e dove la pioggia si fonde alle lacrime e alle recriminazioni in tuta di parenti ed amici dell’arrestato, niente più musica da negri per questo pezzo di merda, shaboo ripeto ancora la droga dei kamikaze giapponesi la droga dei filippini brava gente, non si drogano di giovedi allora sorride credendo di essere tremendamente spiritoso un commissario capo semi-calvo e butterato il cui volto sembra una riedizione dei Goonies in una sola persona.
La stanza è un florilegio di divise, di torri di stelle di torri con stelle di barrette una due tre, tutti arrivati per godersi lo spettacolo, la messa in scena della desolazione umana, e romana, questa tuta piangente, questa tuta per sempre spezzata cosa mai potrà pensare di noi, ma è un interrogativo stupido, che non mi renderà una persona migliore ma solo un frustrato impenitente, perché devi farti un muro, un muro lungo l’anima, un muro in gola, e ripeterti che il nemico è il cittadino, devi pensare a tutti gli acab che questo pezzo di merda, ed inizi anche tu a figurarti il pezzo di merda come unico criterio definitorio, avrà gridato al parchetto, allo stadio, in rosticceria, credendo di essere spiritoso, devi immaginartelo intento a rompere il cazzo e dire, dirti in primis, che la sua punizione non sarà nel calloso dispositivo di un giudice ma nella punta leccata di quello stivale.
Guardo questo ragazzo. Questo…nemico.
Queste pareti hanno conosciuto odori, paure, fobie, sangue, calci, sputi, hanno visto gente piegata, annichilita, fatta a pezzi, quella donna rumena presa a schiaffi con guanti da saldatore e ricondotta alla ragione del silenzio e delle lacrime dopo riottoso incipit di protesta, hanno visto gente ingiuriata umiliata spezzata nel profondo.
Puoi cantare tutto quel che vuoi, farti forza e autoconvincerti di essere un dio, ma la verità è che parlerai, come parlano tutti, e anche per te scorrerà quel sudore. Con le spalle al muro ormai, ci rivedremo, ed ogni volta sarà peggio.