venerdì 9 marzo 2012

Con le spalle al muro





Puoi riconoscere un vigliacco dal sudore, da quella puzza incancrenita di ascella a ruota libera piscio di cane in bocca e sulle tempie, tempie che pulsano e che puzzano, richedendo misericordia come la costa concordia, inverno del nostro scontento tutti a bordo di questo figlio bastardo quartiere dimenticato  dal piano regolatore verde pubblico ma un giardino con stronzi di cane e spacciatori piegati dalla rigidità della stagione è una non-esistenza,  è Bastoggi e Stalingrado ma senza panzer senza elmi d’acciaio ma bustine e stagnole e carta da parati scrostata dietro cui nascondere il relax confortevole di un viaggio a Regina Coeli.
Guardo il ragazzo – indossa quella tuta adidas che se vivi a San Giovanni puoi definire vintage, ma che dalle parti di Boccea è solo molto IPM Casal del Marmo, rossa con righine bianche, l’andatura dinoccolata povera ed antica dei tossici e dei borgatari rimasti orfani di Pasolini, ha uno sguardo vacuo, istupidito dalle ore di play station, dalla coazione a ripetere di rosticceria articolo 187 e notti raminghe randagio tra discoteche in cui è sistematicamente rimbalzato alla porta quelle notti da naufragio quando rimane da solo, in camera, coi poster dei Colle der Fomento e di Ice One e le locandine virali di qualche rave, la madre lo implora di abbassare lo stereo, e di togliersi quella tuta che puzza, ma non di sudore.
Guardo questo ragazzo e le sue corse disperate sulla tangenziale, a fare consegne di pasticche e di pasticcini per eroinomani, sotto il cielo grigio incupito e cementificato di una città che ha dimenticato il senso della parola amore.
Il rumore di tamburi lontani, una eco che va scomparendo come i lampi all’orizzonte, retate, duecento pattuglie di polizia e carabinieri coi lampeggianti blu ad irrorare di paura la notte, stivali del radiomobile, i ricatti morali e materiali del manganello i soprusi, sei una merda dice il maresciallo facendogli leccare la punta degli stivali, gesuddio pensa un brigadiere abbastanza novizio e sufficientemente frocio per provare un brivido da cazzo duro, un sussulto temprato da notti passate allo Sphinx a fistare il suo partner, ma anche una qualche vaga memoria di garanzie costituzionali, non è giusto tutto questo pensa mentre il maresciallo continua a farsi sciusciare lo stivale dalla lingua piangente del malcapitato, questo non è un criminale sussurra un sovrintendente capo della polizia entrato casualmente nella stanza alla ricerca di un ufficiale per fargli firmare l’annotazione di reato, questo è un povero coglione, lasciatelo stare che così bofonchia farete di lui un maldido potenzialmente ergastolano, non mettetelo con le spalle al muro, ma il maresciallo non ha orecchie per intendere ma solo stivali da esibire scintillanti e prussiani ben bene insalivati, è saliva di tossico borbotta un sottotenente che pur gerarchicamente superiore è nei fatti un subordinato, troppo giovane troppo timido e sbarbato per poter capovolgere l’andamento della situazione e la brama giudiziario-sessuale del maresciallo, anzi gli guarda con timore oggettivamente reverenziale le decorazioni i nastrini del Tuscania e dei turni in Iraq che svettano sulla divisa, proprio sul petto.
Guardo questo ragazzo piangente, vessato, umiliato – l’unica cosa davvero positiva, mi dico, è il rovesciamento dei principii costituzionali. Magra consolazione però. Lui non parla, è fedele al rigido codice dei film e della malavita di plastica, di quella che lui pensa essere la malavita, e di cui sa tutto perché lo ha sentito nei testi rap. Musica da negri, e quindi di merda, dice un ispettore in borghese e tutti poliziotti e carabinieri annuiscono, un anziano e canuto maresciallo si lancia in una filippica contro la figlia rea di ascoltare quell’abominio su basi elettroniche, i poliziotti ridono e gli sbattono la tragica evidenza in faccia, tua figlia se la ingropperà qualche negro della stazione termini, ma porco dio urlacchia il maresciallo vecchio, il sottotenente non ha più fiato in corpo per una reprimenda e si limita a dire che non si dovrebbe bestemmiare, ironia penso, quanta ironia, non si dovrebbe bestemmiare ma intanto il tossico sta sempre carponi nella metafisica trasposizione sadomaso della giustizia, è solo questione di priorità, e di tipi di droga.
Sai che questo pezzo di merda, e non c’è divisa nella stanza e in tutta la caserma più in generale che abbia utilizzato epiteti più amorevoli e gentili del “pezzo di merda”, mi sibila nell’orecchio un vicequestore aggiunto che ricordavo già da prima di questa operazione, si era caricato di shaboo e crack ed eroina, shaboo, dice scandendo ogni singola lettera, eh shaboo ripeto io ma l’eco muore fuori in strada dove ha iniziato a piovere e dove la pioggia si fonde alle lacrime e alle recriminazioni in tuta di parenti ed amici dell’arrestato, niente più musica da negri per questo pezzo di merda, shaboo ripeto ancora la droga dei kamikaze giapponesi la droga dei filippini brava gente, non si drogano di giovedi allora sorride credendo di essere tremendamente spiritoso un commissario capo semi-calvo e butterato il cui volto sembra una riedizione dei Goonies in una sola persona.
La stanza è un florilegio di divise, di torri di stelle di torri con stelle di barrette una due tre, tutti arrivati per godersi lo spettacolo, la messa in scena della desolazione umana, e romana, questa tuta piangente, questa tuta per sempre spezzata cosa mai potrà pensare di noi, ma è un interrogativo stupido, che non mi renderà una persona migliore ma solo un frustrato impenitente, perché devi farti un muro, un muro lungo l’anima, un muro in gola, e ripeterti che il nemico è il cittadino, devi pensare a tutti gli acab che questo pezzo di merda, ed inizi anche tu a figurarti il pezzo di merda come unico criterio definitorio, avrà gridato al parchetto, allo stadio, in rosticceria, credendo di essere spiritoso, devi immaginartelo intento a rompere il cazzo e dire, dirti in primis, che la sua punizione non sarà nel calloso dispositivo di un giudice ma nella punta leccata di quello stivale.
Guardo questo ragazzo. Questo…nemico.
Queste pareti hanno conosciuto odori, paure, fobie, sangue, calci, sputi, hanno visto gente piegata, annichilita, fatta a pezzi, quella donna rumena presa a schiaffi con guanti da saldatore e ricondotta alla ragione del silenzio e delle lacrime dopo riottoso incipit di protesta, hanno visto gente ingiuriata umiliata spezzata nel profondo.
Puoi cantare tutto quel che vuoi, farti forza e autoconvincerti di essere un dio, ma la verità è che parlerai, come parlano tutti, e anche per te scorrerà quel sudore. Con le spalle al muro ormai, ci rivedremo, ed ogni volta sarà peggio.

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