venerdì 6 gennaio 2012

ALIBI





Duecentossettanta pagine non sono un mondo.
Lo ha capito Musil, lo ha capito Dostoevskij, tragicamente non lo ha capito Pietro Adamo.
I propri piaceri non dovrebbero essere vissuti con spirito colpevole, con quell’aura incapacitante e calvinista di peccato ontologico, di sotterfugio escapista, queste stradine marcescenti incistate sul tessuto abusivo che nega il concetto stesso di gestione del territorio, affacciate alla finestra matrone romane con troppi chili e troppi anni, troppe disfunzioni sociali, guardano l’orizzonte verdino di cassonetti AMA scrostati e sentono nitido l’odore di piscio e di kebab e di rosticceria cinese, eccolo un mondo che merita di essere narrato, cantato, celebrato, e non dissezionato analiticamente, ed analmente, dalle penne stronze di chi non ha mai capito niente, le sovrastrutture da insorgenza giacobina che vorrebbero intellettualizzare il porno, renderlo altro da se stesso, privarlo di quelle meravigliose storie di dolore e di sofferenza individuale e di aghi conficcati frettolosamente in vene bluastre e di narici incrostate di sangue e cocaina e polmoni incancreniti dal crack perfino dalla colla e la tratta delle bianche che dai Carpazi giungono strisciando sui gomiti sotto le sferzate imperiose della disgregazione geopolitica di quel quadrante, eurasia di pompini e di deflorazioni anali e mostre atroci di quarti di bue umano sfilate in bikini e poi nude nella penombra di qualche night club, osservate e vagliate da occhi affaristici di papponi mondiali, kosovari redenti dalle bombe USA e dall’umanitarismo peloso dei giornali progressisti provano le bocche di queste minorenni facendosi spompinare, poi le recludono sotto terra in bunker di cemento armato e le lasciano nude al gelo a sperimentare il terrore di dio, come dei Robespierre invasati accecati dal senso ultimo degli affari, avenidas e rue e stradine di ogni porto, di ogni megalopoli, di ogni estetica perturbazione e la tempesta si avvicina, la finitudine del tramonto, saette, piove e tira vento, lo sento battere ritmicamente sulla finestra, vorrei affacciarmi come una di quelle matrone e percepire l’aroma della notte e del kebab impregnatosi ormai sulle scorie redente della romanità, eppure rimango inerte sulla poltroncina a leggere le teorizzazioni di Pietro Adamo e le sue epifanie redentrici di porno plastico e buono, la donna stuprata è rivoluzionaria, la donna finita sul pavimento a leccare scarpe Armani di qualche bonzo albanese è una donna sapiente e consapevole, ma mi dico, mentre un tuono echeggia come tetro monolite guerrafondaio e va a perdersi oltre i palazzi abusivi che limitano la vista, dove sono le annabel chong le brooke ashley le natel king, dove sono le storie oggettive di insipienza di disagio e di autentica sofferenza, quella sofferenza che ti lascia a boccheggiare senza speranza per un qualche futuro, qui trovo solo comode razionalizzazioni, puerili giustificazioni, l’istituzionalizzazione accademica e neutra della storia del porno, storicizzare il porno significa emendarlo e lindarlo da quella patina meravigliosa di abusi e di morti e di malattia e di corsie di ospedale e di figli partoriti con dolore e poi con altrettanto, se non superiore, dolore affidati da un giudice anziano e canuto a qualche parente lontano, perché una madre succhiacazzi non può garantire un corretto sviluppo psicofisico al minore, ed ecco così il bambino trasvolare da Los Angeles al Wisconsin mentre la madre puttana viene inculata su un set di Khan Tusion e piange lacrime di mascara e sperma, videoriprese dall’estro brutale di Khan, ed il bambino è lontano, un meteorite in allontanamento, evapora e trascolora come gli ultimi raggi del sole in questa uggiosa giornata, e dove è tutto questo, dove è l’odio rancido di Screwdriver per Linda Lovelace il furibondo bashing post-mortem, solo cattivi sentimenti, atrocità, odio, e qui invece è tutto bello, pinto, azzurrino come in un paesaggio espressionista o dei macchiaioli, quando invece lo sappiamo un po’ tutti, compreso Adamo, che il porno è Francis Bacon, è quella carne macchiata ed in fiamme, quello squarcio sagittale di sangue e malattia mentale ed anomia viola e viaggi della speranza e visti turistici trasformati surrettiziamente in ipotesi di lavoro e in prostituzione, quella battaglia combattuta in maniera cinica e spietata sul corpo, centimetro dopo centimetro, una Stalingrado di cazzi e sperma e fisting e umiliazione verbale e psicologica, confuse promesse e sopraffazione totale, e biografie infrante, ecco.
Le matrone piangono, urlano, chiedono, anzi invocano aiuto, perché il proiettile ha distrutto la scatola cranica della neonata, consumando l’ennesimo atto di barbarie cittadina, Tor Pignattara le Brigate della Morte, i lampeggianti azzurrini e le divise macchiano la scena intorpiditi tutti quei corpi dal freddo dal vento e dalla pioggia, e i rilievi col gesso e le luci arancioni, ufficiali, alti ufficiali, cronisti, passanti, tutti a guardare senza svolgere un vero ruolo quei due cadaveri stesi sul selciato mentre il sangue forma rivoli scuri e densi,  cartaccia residui di scommesse SNAI e i fiori che una mano pietosa ed anonima, rigorosamente anonima, ha gettato a terra lambendo i cadaveri, la bambina è uno scricciolo con la testa esplosa un panino di cervelletto e bile arteriosa ed ossa che il nucleo investigativo dei carabinieri deve misurare con una fettuccia e fotografare mentre i politici cominciano a telefonare per avere dettagli da usare nei comunicati stampa, i politici vivono nei loro comunicati stampa, ho sempre pensato che non abbiano altra consistenza fisica se non quella dei lanci di agenzia, stanno già starnazzando e pontificando e cibandosi delle carni straziate dei due cadaveri, erigono imperiose analisi sociologiche senza aver mai letto un libro, si rimpallano responsabilità, mentre i carabinieri prendono acqua e ripongono macchine fotografiche gessi ed il nastro giallo della polizia municipale separa curiosi e forze dell’ordine in un geometrico assetto di solitudine, di compartimentazione, i volti dei carabinieri sono provati, in alcuni casi al limite, solo gli alti ufficiali mantengono quel rigido formalismo tipico di chi non ha mai fatto un cazzo se non rendere conto in alta uniforme di gala a qualche assessore pedofilo, la legalità diventa parola chiave, digiti su google legalità e salta fuori una carrellata di opinioni inutili e mai risolutive, già pensano le matrone, legalità, la legalità di questi palazzoni in cemento armato costruiti senza alcun rispetto del piano regolatore e del regolamento edilizio, niente distanze, niente urbanizzazione primaria, niente scuole, niente ospedali, niente verde cittadino, un tetris ad incastro di puro abusivismo edilizio, i mercati abusivi e le autorizzazioni verbali degli assessori, i cartelloni che spuntano come funghi e uno se ne accorge solo quando ci si sfrittella le budella addosso, la volontà del sindaco prevale sulla corte costituzionale, così va il mondo, assessori abusivi, feroci critici dell’ordine e della legge quando ordine e legge cozzano con i loro specifici neanche tanto sotterranei interessi, eccoli ad affollare l’aria di comunicati stampa in cui evocano lo stato di polizia, il 1984 dei buoni sentimenti, il sindaco spara a pallettoni incatenati contro i romanzi e contro i modelli sbagliati, dice proprio sbagliati, si, non ci sono più valori né le mezze stagioni, così De Cataldo, che è il Pietro Adamo del noir, ma che è anche magistrato, per salvare il salvabile e continuare a vendere i suoi libri, fiutata l’aria che tira, capito che per quanto negativa quella non è più pubblicità ma solo merda grondante, si affretta a prendere le distanze da TUTTO, e dice no io stavo solo scherzando, questo è solo un romanzo, solo un libro, un libro ed i libri non fanno male a nessuno, è intrattenimento, ironia, il vuoto, ma né Musil né Dostoevskij capirebbero e per fortuna che entrambi sono morti da lunghissimo tempo, perché ne soffrirebbero a sentire queste stronzate, questo candido gioco al rimpiattino mediatico, a chi rende più inconsistente la parola scritta, è tutto a posto, tutto meravigliosamente ok, arriverà il moralismo ecumenico di saviano e le sue macchine del fango e i suoi raminghi “ve lo avevo detto”, verranno gli ascani celestinii e i moni ovadia che è un po’ un krusty il klown col bonus di Dachau a dare la colpa insensata al razzismo, gongoleranno piangenti come coccodrilli i fabio fazio, pontificheranno gli erri de luca costringendoci ad ammettere abissali responsabilità, noi cittadini privi di spina dorsale e di senso della legalità, tutti a farsi comode seghe erigendo altrettanto comodi alibi, la violenza va bene fino a che fa vendere, poi, quando supera l’immaginifica linea grigia della tolleranza sociale, diventa un esercizio di masochismo, praticato da pochi malati mentali, tra cui il sottoscritto.
Continuo a leggere, come un compulsivo ed isolazionista stronzo. Non c’è futuro, ma almeno io lo so.

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