sabato 21 gennaio 2012

Il Mondo che abbiamo perso



Barcolla come l’ultimo uomo rimasto sulla terra, nel volo sincopato di uno pterodattilo di acciaio trasfuso in nuvole ed aloni bianchi di fumo, la luna di tre quarti madreperlacea insondabile incupita e virale pozza d’argento sporcata guarda da sopra benedicendo i lampeggianti blu e la merda grondante dalle caditoie e le foglie e le buche che spezzano l’asfalto, lo segmentano in una ragnatela di ipotenuse di responsabilità civile con i vecchi caduti a faccia in giù, devastati da radici di pino e dall’incuria dell’amministrazione, barcolla solo e macilento con gli occhi viola le vene ispessite le braccia bucate e le croste e l’aroma olezzante di piscio e strada nomadica e una linea povera anomica di camper malamente parcheggiati, storie di famiglie infrante da mutui troppo esosi, non ci sono strepiti sociali urla bestemmiando i porco dio a ritmo di rap se il rap fosse una cosa da bianchi, ma lui è un bianco, sporco e negro come tutti i poveri senza prospettiva e senza futuro, se la merda avesse un valore i poveri nascerebbero senza buco del culo, perché si chiede perché non posso avere una vita socialmente irreprensibile come tutti questi borghesi che mi sfuggono e che mi passano accanto ed oltre guardandomi con reverenziale timore, il contagio la peste nera la scabbia l’epatite il cazzo dei preti, non hanno mai succhiato il cazzo rugoso e spugnoso di un prete, quell’affare moscio che non si drizza mai e che ti tiene occupato nelle fredde notti d’inverno quando piangi e smozzichi parole di pietà e di misericordia ma nonostante tutto la croce ti viene ficcata nel culo, dritta sparata senza riguardi vaselina od omelie, c’è solo disgusto nausea senso di impotenza perché questo scarafaggio in nero che tante chiacchiere fa di amore e di solidarietà universale perché questo apologeta del vangelo e delle sofferenze di nostro signore impone la sua personale redenzione di sangue e sperma al mio culo brufoloso e sporco, perché, ed è un perché che punteggia e drappeggia il suo sinuoso avanzare nel folto del parchetto tra le giostre istoriate di graffiti e di siringhe appese con sapido gusto scenografico, la vita non rende il conto anche a chi se lo meriterebbe, ed oscilla alieno a se stesso tatuato nel profondo dell’anima il dramma sofocleo dell’eterna partenza, non ci sono luci che non siano blu, non ci sono frasi che non siano di circostanza o da verbale di polizia giudiziaria, le segnalazioni al prefetto, i primi ritiri della patente, i test del sangue, le precarie condizioni di salute, il senso di languore di torpore di sconfitta nel ventre cupo dell’esistenza, non c’è rigore pensa, non c’è controllo, ho smesso di dirmi umano ed è successo, in quei momenti di tragica lucidità quando un dio mistico e rovesciato si para davanti agli occhi e chiede il conto ma solo a lui solo a quei tanti sfuggiti al Minotauro nel labirinto, nessuna seconda chance, ma dove cazzo sta la prima, non occasioni né pieghe esistenziali dentro cui rifugiarsi come morbida placenta materna, già della madre conserva un ricordo vago illanguidito da anni di alcolici droga e psicofarmaci latenti ospedalizzazioni il grigio cementizio di palizzate nascita della clinica separazione sessuale ed esistenziale e manie urgenti potenti che crescono e la cui eco si intaglia al pari di legno sballottato  nell’ultima tempesta, il padre non lo ha mai visto fermo al secondo piano metaforico di una casa popolare con l’umidità a castrare le pareti ammuffite e la pelle a generare malattie cutanee e respiratorie gli escrementi di topo e le prese in giro dei compagni di scuola c’è sempre un signore delle mosche nel cuore di topolino pensava disney quando votava  Hitler c’è sempre una muta richiesta di inverni da trascorrere a Dachau mentre la neve imbianca i comignoli fruttuosi e le scritte lapidarie e la scia immota di piedi nudi nel deserto bianco ritirata delle buone intenzioni come la condizione del tossico e del deportato nella limitata consistenza dei propri orizzonti con quella palizzata crociuncinata sotto il ponte della Tangenziale ed i panzer abbarbicati all’estremo gesto di difesa to drown a rose la wiking a berlino e il vino tedesco tutti a berne un sorso un sogno una trasparente traslucida disamina onirica di disfunzioni sociali, la risposta era nell’amore avrebbe dovuto dire il prete se non fosse stato impegnato nella sodomia il girone dei lussuriosi e la fiamma e la merda ed un castello sadiano di Silling dove Ignazio di Loyola ha ricevuto i gradi e dove la valenza fondante della claustrale limitazione delle prospettive ha impostato lo sviluppo di imperi, Alessandro pianse guardando i suoi dominii la fine oltre le montagne sacre ma solo perché non sapeva non vedeva non voleva vedere che la risposta più vera sofferta e gentile era nell’amore, è un uomo che barcolla distrutto che porta una croce nelle vene nei solchi e nello sguardo perso morto dicono che i deportati abbiano avuto lo sguardo azzerato il fiato condensato in un vapore di morte niente più sudore né battito cardiaco cortocircuitazione delle preoccupazioni alienazione benevolenza se questo è un uomo se questo è un tossico la dose lo  avvilisce lo  piega meglio regnare all’inferno, il vostro dio giudeo non mi avrà borbotta infastidendo una coppietta sorpresa nel farsi le canne, guardo questo uomo con occhi diversi, un vecchio me, un me andato, rovesciato, poco incupito ma molto ben disposto nei confronti della mera osservazione, mi astraggo simile a Mondrian ellittico e rosacrociano impostando quesiti abissali con le spalle ad un orizzonte di libri, il sangue, quanto ne scorre, seguo l’uomo uno stalker antropologico e disilluso, triste ma felice per via di quelle risposte che solo uno scalpello nella carne può dare, tutti i tossici sono in fondo ad un inferno in cui ogni istante è una eternità condannata a ripetersi il mantra dei buchi, delle vene infrante,dei diamanti ciechi risorti dopo una maledizione boreale che inonda di porpora le frattaglie del cielo, vorrei avere una parola di conforto ma nessuno ti può dare una mano, amico mio, amico di battaglie mai combattute non assieme di certo, sconfitto eroe di ogni conflitto interiore psichiatria e degrado sociale e periferie addormentate su loro stesse, questo è un posto dove non vivo più, un posto che scorre malevolo come un fiume di merda nella stagione delle inondazioni, una certa tendenza asistematica alla valutazione ecumenica una impostazione discendente di ipotesi ed opportunità, meriti di meglio ma non potrò essere io ad offrire la riparazione ai torti, distruggi tutto senza aver più pietà né commiserazione, distruggi per la pace interiore.





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