lunedì 2 gennaio 2012

Grotte Celoni Electronics





La speranza è una sodomia apocrifa, dice il motherfucker digrignando i denti sporchi e ingialliti, ingialliti da uno stile di vita disordinato, dalle sigarette e dai pompini catatonici che elargisce sotto lo strato spesso di cemento del sottopasso – geomanzia alla Le Corbusier, sociologia dello strazio genitoriale, mentre muovo un primo passo per avvicinarmi al motherfucker, un negro bleso senza la dignità di Kunta Kinte, quattrocento anni di oppressione, quattrocento anni di Lacan senza cazzo di negro, ed omosessualità virata al tempo, in questo tempo preciso e spaziale open-space di degrado e topi morti e reparti di infettivologia. Autoproclamatosi profeta dello spaccio e dell’incistamento frettoloso di mentalità sub-urbane con una madre in Africa e un padre camionista che affonda cazzo in fiche part-time e schiavismo ricontestualizzato, i fuochi rossicci che vanno disperdendosi lungo un orizzonte di mortalità infantile e agglomerati da Sprawl, in ginocchio gli urlo, gli intimo, gli ordino, quattrocento anni di merda e fanghiglia e spiazzi consolari e tombe miliari con quel marmo arrostito dal sole e dalla nebbia mattutina e dallo smog di fiumi metallici di pendolari, ficcateli nel culo, in quel cisposo buco di negro che ti ritrovi tra le chiappe, spiazzi e giardini con rose di cartone e cartocci di patatine unte e preservativi e kleenex e storie d’amore dopo la Casilina e la Collatina e in quell’immaginifico punto di raccordo tra le umanitarie illusioni del progressismo e le divisioni armate della droga, l’Imperatore di Roma, non Kunta Kinta, ma dove è Jerry chiede l’ombra disossata emersa sulla soglia mentre da dentro promana un odore di pesce e stufato e flebile chemioterapia e viramune e ziagen e retrovir l’aids è una scelta obbligata come una cartella esattoriale senza ricorso in opposizione, i vostri figli continua la voce da sciamano, ma è una donna devo constatare, una donna rachitica senza speranza, senza chance, senza emergenza abitativa, con quel racket australe e boreale di troppe mattine passate ad attendere l’autobus e poi le camionate di caporali e di muratori serbo-bosniaci e le botte ed i pestaggi e i lividi bluastri di Donna Ferrato, quelle foto, quegli scatti, quel flash abominevole, dove è tua madre, quella cazzo di scimmia, la dignità negra, i festival e la consapevolezza, Mary Bell e Tawana Brawley, uccidere non è poi così male, tanto tutti dobbiamo morire, disse la piccola mentre la conducevano in aula di tribunale, strozzato a mani nude un piccoletto un frugoletto caritatevole che si agitava come un pesce gatto tra le acque limacciose mentre Mary stringeva e arrossava le nocche con la bava digrignata e la vita sfuggiva come un ectoplasma di cattive intenzioni e sperma arancione, infetto, infetto come questi quattrocento anni di schiavitù che devi emendare, il motherfucker è preso all’amo, meno baldanzoso della scimmia che è sempre stato chiamato ad incarnare, bigiotteria da poco prezzo e vestimenti da over-sized rapper di poche pretese e altrettanto scarse emendabili non negoziabili miserie da strofa, il beat è carnoso dentro la stanza, Le Corbusier ne sarebbe fiero, si incontrino nella socializzazione da sobborgo le anime erranti e le loro madri che spompinano camionisti con le croste sui coglioni, rispettabili pedofili con la toga sciamano nell’annullamento esistenziale di queste autostrade per l’inferno a chiedere il conto, la carne malmessa, la colla, i polmoni stracciati, niente Gara du Nord ma Grotte Celoni con le cabine in acciaio dei bus e le scorte lampeggianti il sudore e gli eczemi, un eritema lunare di poca dignità.
Satana. Vive a Grotte Celoni, dice uno spiritello, un minorenne zingaro dal nome trash, anche lui lecca e succhia coglioni, come tutti gli abitanti di questa preoccupante area di disagio istituzionalizzato, fuga da new york senza deltaplani, bestemmie in sequenza, ordini di cattura, mandati transnazionali, e trans da strada e da piazzola, il kleenex è la bandiera spermatica inalberata sul pennone trionfale di questa non-vita, dammi una sola parola, e lui lascia cadere la bustina trasparente con dentro la droga, magico passaggio di consegne, difendeva isolato ultimo giapponese negro questa postazione di tufo e graffiti, e lampioni scrostati, difendeva la sua gang la sua banda la sua famiglia del cazzo, tribale nel modo di approcciarsi tribale nel modo di sputare sangue mentre gli assestiamo una decina tra calci e pugni, nel nome della solidarietà universale e del mito del buon selvaggio, Voltaire e Rousseau qui sono carta da parati per un cesso alla turca – tutti cercano Satana e la sua moto col telaio abraso, lo cercano e mettono a soqquadro loculi dalle pareti lovecraftiane, radio che cianciano di campagna acquisti e drammi, e maledizioni proletarie senza Marx, ossignore abbi pietà di noi bofonchia la sciamana nel vedere il suo pargolo ridotto ad una maschera di sangue negro, non c’è chance per una elezione di domicilio, la luce azzurra fende quel ventre nero di magma zozzo quelle aiuole curate con trasporto maghrebino, niente Casbah ma carne fagocitata e pustolosa con pus e cazzo e fiche drogate e abborracciate comitive eco-compatibili, li guardo col disprezzo tipologicamente connaturato a chi sa di non avere altra strada da seguire, non ho arma dico il silenzio dello spirito è la mia arma e tiro fuori la calibro 22 puntandola in bocca al disgraziato negro per l’ironia suprema dell’abuso di potere, ossignore continua la sciamana canticchiando un successo trapassato di Claudio Villa, queste borgate tutte uguali tutte fetide ma questa no più uguale delle altre con le linee di autobus scortate e il grigio del cemento screziato di merda e rosso, prendi quella testa di cazzo, prendilo, e vola un calcio da placcaggio selvaggio, componiamo beat ipertrofici sulla sua faccia rappando di manganello e calcio di fucile, la sega elettrica e un autoblindo sfasciano un reticolato da intifada anomica, e i casamonica guardano sorridendo, sorridono meno quando gli sfasci i denti e prima minacciano e bestemmiano e poi però implorano legati e sanguinanti, piangono invocano e blandiscono, e tu continui a sfasciarli, perchè perché porca madonna devi parlare inglese se l’inglese non lo sai a parte quel motherfucker imparato sui dischi scaricati in mp3 dei public enemy e vivi pure a grotte celoni, perché perché e giù mazzate, calci, pugni, denti spezzati, piaghe, e pustole suppurate, la pena di morte, reclamala, reclamala come suprema forma di liberazione, come tunnel d’uscita e casello autostradale, prendi lo 055 e lo 052 commercianti spaesati chiedono rispetto e legalità e si chiudono in rinserrati bunker di amianto e comitati abitativi con le solite rivendicazioni che voi negri di borgata siete così dispettosamente protesi a frustrare, e noi giungiamo non per partito preso non per escatologico razzismo, anche se mi piacerebbe, ma per amministrative scelte gestionali dell’ordine pubblico, già ordine pubblico, e ricordatelo mentre la mano guantata esplora le tue cavità insinuandosi come la banana tentatrice nel culo sfondato, parenti al braccio III e riso in bianco per dieci giorni poi i transiti al matricolare e vaffanculo al buon selvaggio mito che qui a grotte celoni non ha mai attecchito.
Hai trovato dio a grotte celoni, cantano gli zeloti nomadi, i progressisti arruffapopolo mentre snocciolo citazioni del Mein Kampf sulle tue natiche tatuate, faccia da cazzo con istoriati tatuaggini tribali da maori all’amatriciana, sistema fognario senza ritenzione e caditoie invase di melma e plexiglas e recinti e labirinti edificati dal Fuhrer dell’architettura ecosostenibile, la strada è buche alveo di cadute da motorino e assicurazioni false, o truffate, o dio solo sa se è stato trovato e rivenduto all’ufficio oggetti smarriti, qui è tutto falso, anche la tua dignità, anche il tuo essere negro, anche quattrocento anni di oppressione.

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