giovedì 5 gennaio 2012

E' legge di Natura



E’ nella tua natura.
Un semplice atto fisiologico piegato dalla misericordiosa benevolenza, in questo lembo di strada dimenticato da dio – dio, porco dio, borbotta sinuoso e cianotico il villano col petto in fuori, il vento speziato e malmostoso blandisce i suoi capelli unti ben pettinati sul cranio, noi siamo ossa, continua, ossa e carne putrefatta, o meglio che potrebbe andarsi a putrefare, ora ordinami un’altra birra, eccoli i filosofi della debauche, gli orinatoi umani da logopedia metropolitana, mi costano più loro che un corso alla Sorbona, mi spacciano insignificanti aneddoti ed incontri come una cosmologica geometria di brufoli euclidei, hai mai succhiato un cazzo? chiede ad alta voce mentre la schiuma bianchiccia della birra gli stampa un baffo sulla bocca, e il barista continua ad assemblare drink e a raccogliere ordinazioni con un sopracciglio che nervoso si solleva, come a dire “vi tengo d’occhio brutti stronzi”, la tabula rasa non elettrificata e senza farci sentire due reduci con quelle parole a danzare nell’aria lercia del bar e che vorrete mai spaventare questa clientela queste puttane questi trans queste carogne fetide espunte dal consesso della rispettabilità sociale non è primaria occupazione, non è un cazzo a ben vedere e io mi rinserro nelle spalle e oppongo un netto no non mi interessa succhiare cazzi signor nessuno e ricorda che le tue birre le sto pagando io quindi l’aura professorale, signor nessuno bis, mantienila fin quando non mi diventa sconveniente.
Oh sconveniente, fa spallucce come una vecchia checca a Dakar, il sole africano, quanto era bello, e se mi diventa melenso e romantico giuro vado a vomitare nella latrina dove piscio e vomito compongono affreschi paleolitici evocati da stregoni pustolosi e sifilitici, la costa, il mare, quei cavalloni azzurri dispersi lungo la linea piatta d’orizzonte dove navigli puntuti cercano pesce, e mi sogghigna quel pesce come fosse una delicata metafora, un doppio senso esoterico e criptico, ed io naturalmente stupido e sbronzo e depresso e privo di opportunità migliori assecondo le sue chiacchiere con un sorriso vuoto come la strada fuori, quei ragazzi d’ebano, alti, fasci di muscoli e di sudore, belli da concupire, da leccare, da succhiare, il punto di rottura per me non c’è, o forse si, la noia, la coazione a ripetere, non il senso osceno di queste esistenze frantumate costrette a riavvolgersi su loro stesse come dischi fuori produzione, la sua voce gracchiante e cisposa, vagamente blesa, è un frocio languido e malinconico, solo come tutti i naufraghi che frequento nei pressi della stazione Termini, non si fanno domande sul perché io paghi le loro birre o le loro sigarette senza poi voler sperimentare la confusa sarabanda dei mefitici cazzi, qualcuno vuole convincermi di essere un omosessuale represso, ma io faccio presente, con voce stronzamente pacata e neutra che l’omosessualità in sé non è abbastanza perversa per i miei gusti, e perversione ed omosessualità abbinate tra loro nella disfunzione emozionale e nel tracollo di ogni codice etico di emancipazione e di semiotica e di comunicazione istituzionale politicamente corretta, un torello arzillo con le sopracciglia d’amianto una sera, forse reduce da una qualche festa bisessuale per mordaci froci e per collaborazionisti dei froci, empatici con il culo altrui, mi fece una boccaccia dandomi del nazista e disegnando con la bava sul bancone una croce celtica, al che io sorrisi, con quel mio sorriso coglione, di eterna bontà, come un teletubbie a lezione da Marc Dutroux e gli parlai di M. Cagnet, dell’Olocausto e di Anna Frank, della sodomia forzata nella cosmogonia elaborata dai Brainbombs e tutti quegli altri discorsi che varie leggi, giuridiche morali e religiose, vietano nel nome del decoro, della civica convivenza e di dio, non ho tono canzonatorio, né provocatorio, parlo a briglia sciolta spiegando i particolari dell’orifizio di Anna Frank come se un professore di diritto civile stesse intrattenendo il suo auditorium con una prolissa lezione sul negozio giuridico, interpolo le chiacchiere con calibrati sorsi di liquore e di birra e poi continuo ad assemblare mostruosità, ma non mi spaccano la faccia perché rimangono allibiti, con la mascella pendula, ed io quello vorrei per dio, rimanere io con la mascella pendula, incredulo e soddisfatto, succede di rado, ormai succede pochissimo, e mi illudo, mi piace illudermi che questi desolati e desolanti froci della Stazione possano scuotermi, possano assestarmi un metaforico calcio, ed invece è sempre amore, amore passato, archeologico, di peregrinazioni cazzoidali, di pompini e sfinteri sanguinanti, e la baia africana, col sole e il deserto e la sodomia marocchina e il Senegal e le seghe a due mani nella calura pomeridiana sorseggiando the, la mascella pendula della masturbazione dei minorati mentali, quella la ricordo con un certo grado di piacere, un ricordo molto vivido e nitido, percepito ancora oggi con nostalgico contegno, quei cazzi raggrinziti e appallottolati, e il down che mi spompinava il dito indice incautamente lasciato a disposizione in un raro momento di distrazione, e le riviste porno comprate all’edicola facendo la faccia di tolla mentre Amendola e Maurizio Costanzo risalivano via della Camilluccia salutando a braccia aperte ecumenici come il Papa.
Cosa cazzo ti pago a fare ? Gli domando, se oggi se ancora oggi dopo tutti questi anni i ricordi più belli sono i miei? Tu sei un rotto in culo con poche memorie degne di nota, nella mia prospettiva, ti dirò, nemmeno una.
Davvero ? Non sembra scomporsi, nemmeno alterarsi. E’ quel che pensavo; quando ti dicevo che è la tua natura. Tu vuoi vivere senza sporcarti le mani. Non succhi cazzo ma vuoi sentir parlare chi lo fa e vuoi sentir parlare di come lo si fa.
Non necessariamente, ribatto. E lo penso davvero. La non-partecipazione attiva suole essere il cavallo di battaglia dei miei detrattori e di chi, fondamentalmente, non capisce nulla di quel che faccio. Parto, continuo, dalla premessa che di sentirti parlare di succhiare cazzo non me ne frega niente, non è trasgressione, non è provocazione, non è disperata richiesta di compassione, ed io compassione non ne ho e se ne avessi la destinerei a qualche persona maggiormente degna di stima, della mia stima. Non voglio nemmeno sentirti ciarlare di pornovacanzine africane, che tanto si concludono sempre col magone e il mal d’africa declinato checca, ho una vasta tradizione letteraria da Burroughs a Matzneff per leggere di questa roba. Ti troverei interessante se tu fossi un emulo di Hogg, ma a vederti schiumare con la bocca ad O, una O di scemo stupore, ho capito che non frequenti quel genere di lettura e visto e considerato che sto pagando io le birre non starò nemmeno a parlarti in dettaglio di Hogg e delle altre mie letture, che forse ad honorem mi rendono più frocio di te, perché poi alla fin fine mi sono reso conto che devo essere io a spiegare ai froci le cose davvero da froci, quelle cattive, laide, parlare loro di Boyd MacDonald, di STH, di POZ, di Tony Duvert, qui invece con te sto ancora a Meryl Streep travesta.
Sta vagamente accusando il colpo. Scola l’ultimo sorso di birra, cauto si guarda attorno e rutta, non ha parole. Posso capirlo, gli do una pacca sulla spalla e me ne vado. Coraggio, mi dico, hai ancora una vita davanti da sprecare.

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