sabato 21 gennaio 2012

Dalle finestre in fiamme



Ti guardo e vorrei dirti ciò che nessun libro ha mai detto, ho nel cuore una pira incendiata di Norimberga e un Heidegger intento a bruciare saggi, ho un vortice carnicino roteante come la svastica primaverile vista cadere nell’ultimo rogo berlinese, la neve di Stalingrado e la morte glaciale la carne che diventa roccia e muta consistenza e il dolore irrorato arancione ad intermittenza sulla circonvallazione casilina dove siamo fermi a parlare, attorno chiazze di vernice e degrado metropolitano e immigrazione aggressiva e studenti fuorisede che sperimentano notturne epifanie deportandosi sui bus notturni in compagnia di esotici rom balcanici di ritorno dalla ricettazione di motori, continuo a guardarti ma ho troppi libri non ancora bruciati nel cervello carbonella esistenziale nella mente incrostazioni suppurate da Pigneto by night, il nero fumigoso della prenestina che scorre parallela alla vita è un oceano vecchio e decrepito lautremont in nave pronto al naufragio senza speranza ho una confessione di più una processione di intenzioni e di narrazioni e di vividi ricordi, non lo dici ancora ma lo capisco da quegli occhi, da quel nero che sovrasta i bargigli siderali del cielo, li osservo e li scruto e li colgo nell’atto di aprirsi a raggio sul mondo, hanno contemplato paradisi di carne e giardini di disperazione alchemica consumati anni prima nella introspezione assoluta, dolorosa, totalizzante, tutto quel che ho dentro non porta numero di pagine non può essere espresso da altra lingua all’infuori dell’urlo insensato, quanta gente abbiamo visto consumata ed erosa e portata via dalla storia quanti condannati quanti viaggi senza ritorno quante speranze vane cioranianamente schiantate quanti abissi stoici di suicidio assistito, i martiri da piangere agli incroci con la siringa nel braccio e le scelte sbagliate non fatte ma da cui si è stati fatti, rimango silenzioso, muto, non è da me, non è dal me che gli altri credono di conoscere e padroneggiare quasi esistesse un copyright giuridicamente apprezzabile una eterodirezione da burattini di anima e non-vita, così diversi e così simili, non uguali perché l’uguaglianza è morte, siamo l’ultima thule l’estremo rifugio della ricchezza e della serenità, c’è ancora speranza dicono gli stronzi quelli che muoiono nelle loro case borghesi di duecento metri quadri senza aver mai sperimentato la gioia pazza della lotta, non c’è nessuna speranza porco dio ma solo volontà, la volontà del ferro e del marmo, ci siamo distrutti ma poi ricomposti e dai frammenti è nata una foresta, come sperimentare una fusione, una dichiarazione, un atto di fede, mentre attorno macchine senza assicurazione parcheggiano davanti ristoranti indiani e la musica bassa sinuosa e potente di bassi slabbrati si propaga nella notte, Roma fa schifo ed è bellissima persino vista da qui, dall’abitacolo accaldato e appannato di questa macchina, le luci le stelle i fari alogeni le insegne neon le puttane i controlli di polizia il sudore le lacrime la degenerata rapidità della consapevolezza, è tutto vero, tutto qui, tutto a portata di mano, in un abbraccio che dura secoli, un abbraccio che è la certezza di un ritorno, dicono di capirti ma stanno pancia all’aria a farsi seghe con la loro presunta personalità, col cartone e le considerazioni sceme, la connessione internet sfasciata e i tentativi artistici per lenire inadeguatezze sociali e psichiche, non capiscono nulla, figuriamoci gli altri come se l’arte fosse xanax, ansiolitici creativi da deportare nel modo più feroce, ci siamo lasciati alle spalle quel dolore quella sensazione di nullificazione quell’ansia sofferta e crudele quel getto di vomito nero inchiostro e sangue e lacerazioni sulla pelle e nella mente, il fumo smette di alzarsi e di andare via nel vento, le finestre smettono di ululare, la morte sarebbe rimanere in questa stanza a guardare il fuoco divampare e col caldo asfissiante a sciogliere la carne e il non poter più attendere e doversi gettare dalle finestre in fiamme, come se non ci fosse alternativa, come non ci fosse un domani, siamo noi due e mi parli con una disarmante purezza, con quel tono gentile e forte, di poesia e marmo bianco, con quegli occhi ricettivi e mobili e vischiosi che vorrebbero inglobare e fondere e metabolizzare l’esistenza tutta, perché hanno visto tanto e sofferto e vissuto e percorso strade notturne e labirinti e vie senza uscita però con una palizzata da scavalcare, le ginocchia sbucciate per le fughe repentine le ritirate strategiche, quel profumo di saggezza di strada, mi dici quanto di splendido e di nero hai nel tuo cuore, ed io ascolto, come un penitente accoratamente proteso a vivere, con te, e se cristo è risorto perché non possiamo farlo pure noi, anzi lo abbiamo già fatto, e siamo qui a parlarne, noi due.

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