domenica 15 gennaio 2012

Seppellite il mio cuore a Via dell' Archeologia





Tutti combattono, come questo bus sferragliante che si adagia sull’asfalto divelto della Casilina, un segmento putrescente di intersezioni casolari diroccati e brughiera ocra, arsa dalla calura e dall’abusivismo, combattono contro un destino segnato dalla disperazione e dalla desolazione e dalle gare con le autovetture coi motori truccati, sfasciacarrozze in eternit e lastroni di marmo impantanati nella palude della morte mostri fetidi con la scabbia e una psicogeografia che digrada come un monte dei pegni, un golgotha di aspirazioni bruciate, combattono e sono combattuti, proprietà transitiva tra zarathustra e graffiti ma senza l’aura redimente di Bansky perché qui non ci sono i soldi, non c’è la dignità, non c’è la fica della Jolie, i vernissage e i finti cappucci di felpe firmate, Damien Hirst raccoglie squali sotto formalina e imbastisce costruzioni semantiche precise di dollari e dobloni, Milo Sacchi rinvigorisce la dimensione mortuaria della scultura di carne in piena contrizione di adipe frollato e gatti e cani scuoiati sollevati dai lembi cementizi delle periferie umane e li appende trafitti al soffitto mentre  il rumore si spande virale pieno e potente come una mareggiata di petrolio,  ma qui nessuno fa niente, non c’è senso, non c’è giustificazione, il cielo è grigio come una radiografia screziata di fumi e volute sinuose di pneumatici bruciati, fiamme vitree troneggianti sugli orrori della geografia romana, il traffico scorre a precipizio inondando di metallo il ventre sordido della nostra vita, guardo la battaglia la lotta disperata e ancora si evince quel senso profondo di perdita quelle macerie sovrastate sormontate dalla metaforica bandiera rossa mentre i pirati con la runa del tuono tutto sotto lanciano gli ultimi colpi e muoiono all’arma bianca perché, davvero, poco importa di chi verrà dopo, si lotta casa per casa, panzerfaust ed eroina e volti emaciati di puttane che barcollano nella luminescenza ambra di non-vita porno zombie e pendolari tra T-34 e Tigre e lamiere fuse con l’arte e la musica e le balle sulle espressioni di periferia parchi con le giostre sporche e spezzate ed infrante, come l’insondabile abisso delle nostre mute richieste, ragazzini e tossici a guardarsi persi nei loro rispettivi mondi, la felicità di un volto sporco, l’inconsistenza vitale a stringersi in confortevoli illusioni, filiali o chimiche, e combattono con vigore tra lampeggianti ed escrescenze e malattie e ricoveri e crisi mistiche ed epocali con quegli scenari sadiani di jihad psicomorfa e psicotropa, c’è solo sabbia tra queste mani callose, queste mani che tra stronzi di cane e merendine mangiucchiate e siringhe guardano il vento portarsi via granelli ed esistenze, una deriva notturna di sillabe monocromatiche la poesia del disagio e un degrado di ritorno mentre si vomita a turno in una olimpiade esiziale alle due di notte, queste sagome questi spettri da cappuccio in testa abbrutiti niente castelli alsaziani per loro niente evocazioni niente magia del Caos niente Zoos sulla Prenestina solo caimani tossicodipendenti da guardia e piantagioni di marijuana e motori rubati, c’è un’arte sublime in questa cacca di cane sparsa a chiazza sullo scivolo, proprio tra due casematte di legno marcito dentro cui i bambini del quartiere vengono a contendere la solitudine ai tossici barcollanti, questa periferia è un  pugno chiuso dentro il culo stretto dell’amministrazione, scorre tutto veloce frullato in una minestra di dolore e di pensieri cupi, un macellaio combatte contro un monaco, campi di morte e cattedrali di nichilismo e preti di frontiera che hanno una parola di conforto per le mamme zingare mentre si fanno spompinare dai loro pargoli e l’integrazione sociale e i manifesti abusivi e gli impianti ed i rave e le piazzole di sosta e le sirene svogliate della polizia, tutti fanno finta di adempiere una funzione, negri, immigrati, spacciatori, non ce la faccio più, dicono, dicono con poca convinzione perché per molti è solo una recita, un pessimo film, una risorsa multirazziale un bacio sulla bocca morente, e la pustola suppura in un rivolo di sangue, vedi le vene incrostate e gli aghi diventati di catrame viola a furia di essere conficcati nelle braccia e nelle gambe e sul collo, gemellaggio con lo Zoo di Berlino e con Zurigo e con le crack-houses americane Centocelle Skid Row un pianto di barboni fetidi e con le barbe sfatte e la morte sulle sopracciglia, c’è un Hitler morente senza Bunker tra queste aiuole curate dal Sindaco in persona durante i suoi comizi togliete questa merda togliete questa anima togliete questo ammasso di umanità che infastidisce che insolentisce perché il Sindaco è buono, magnanimo e non vive qui, combattono con le bandiere nere issate sui pennoni dei garage trasformati in uffici clandestini per l’assegnazione delle case occupate e uno ha proprio i faldoni gialli con i numeri di protocollo e che ti serve, domanda, sei uno sbirro, io e te tre metri sopra la paranoia, ride borbotta scatarra è un ras di quartiere un tragico residuato di tempi irsuti e canini e ferini, di branco, di banda, di batteria,  rapine e droga e 648 e un corollario di assalti a portavalori e una madre morta mentre era in galera manco il permesso per andare al funerale, lui combatte non per soldi non per nulla ma solo per odio per mancato finalismo rieducativo, chi si spezza la schiena combatte contro tutto mulini a vento privi di copertura assicurativa, l’Hitler morente guarda tutto con cupa accondiscendenza, è solo, privo di difese, di affetti, un titano affetto da malinconia e da mari di nebbia scruta la sagoma dispersa delle torri dei palazzi di edilizia anti-umana, qualcuno ce la fa, qualcuno vince, un leone morto elevatosi sopra tutto che dismette il cappuccio e vive e ama e si allontana senza rinnegare, le scritte sulle mura aureliane e l’aventino e san saba senza quella tracotante supponenza, accampamenti nomadi e derive pagane ed altari sacrileghi, qualcuno la sua battaglia l’ha vinta, ci parlo guardando fuori il nulla quelle macerie fumanti il reichstag sulla Togliatti dove balordi e centro carni e polizia stradale e comitive mongole barcollano nella totale mancanza di un equilibrio istituzionale, a ciascuno il suo nella reminiscenza e parla con tono fermo, deciso e malinconico, profondo, c’è la consapevolezza dell’enorme forza, quel senso titanico da terra del tramonto nonostante i tramonti su Roma siano di sangue e abbacchio, girare vagare senza vedere nulla e poi accorgersi che il primo approdo è dentro se stessi, con quel senso caldo ed epifanico di stella cometa sdilinquita verso la linea d’orizzonte a cadere tra case occupate e parchi e giardini e parcheggi di scambio, vita-non-vita un colossale inganno diventato ratio vitale che nega la vita nel momento in cui se la trova davanti, pochi hanno vinto e saranno banditi dalla storia e rinnegati e cancellati ma saranno sempre vivi e trionfanti in questo nostro cuore, e lei ce l’ha fatta, lei sta lì a parlare di un mondo ctonio abbattuto sotto il maglio tellurico dell’inverno avanzante, l’inverno dello scontento universale, saremo tutti processati a Norimberga a rendere conto delle nostre domande ma almeno ci saremo divertiti e quando ci indicherete con dito accusatorio borghese mellifluo e merdoso vi diremo ridendo “avete sbagliato ad andare a dormire presto”.

Nessun commento:

Posta un commento