domenica 4 dicembre 2011

Frammento IX



Lo psichiatra sorride.
Sorride con mestizia e metodologia, ha quella espressione da figlio di papà e da persona finita in questo universo parallelo per puro caso, che è in fondo il lascito più sincero dei suoi trascorsi universitari.
E per quanto io capisca che si diventa cattivi, cinici, insensibili e frustrati nel vedere i film di Cronenberg su Jung e Freud ed i tuoi colleghi contenti ricchi intellettuali alla Crepet  che rilasciano dichiarazioni epifaniche in TV, mentre tu pur avendone condiviso le nevrosi, le crudeltà, i pomeriggi rovesciati, la merda ingoiata, stai qui nell’insondabile abisso della sanità pubblica, però mi dico che davvero non si può, non hai una pistola alla tempia puntata per costringerti a strizzare cervelli.
Si rende conto, mi dice rivolgendosi a me forse perché sono il più assente tra tutti o il più giovane e coi giovani si stabilisce quella empatica confidenza un po’ professorale che caratterizza i medici, si rende conto di queste tragiche situazioni, di queste famiglie, di quanto soffrono, di quanti problemi devono affrontare pur non avendone la possibilità. La minima chance.
Chance lo borbotta come un francesismo da champagne di capodanno, il colpo di scena di una qualche cultura da postal market, ha un tono generale di insidiosa saccenza, di stronza ironia, fuori luogo ma soprattutto fuori fase.
Non so se mi rendo conto, anche perché probabilmente la sua vacua logorrea intestinale era solo un autoreferenziale sfogo, una pacca sulle spalle a se stesso, auto convincimento mantrico per continuare a prestare servizio in quello sfacelo.
Gli zingari, continua, sono i peggiori, vengono a farsi le gite, si accapigliano, si picchiano, litigano per qualunque cosa e si fanno, nei fatti, anestetizzare e poi tornano nei campi col sorriso di chi ce l’ha fatta. Fatta a buttarcela nel culo, sottendo io, perché lui è troppo psichiatra per poterlo dire e i sottesi scatologico-freudiani finirebbero per portarci fuori strada, visto che stiamo solo parlando di zingari.
Non sono un grande esperto di cose chimiche ma sono stato dentro queste sordide aule per sufficiente tempo ed ho assistito ad un altrettanto sufficiente numero di lobotomie farmacologiche, di somministrazione di droga di Stato, di felicità contrattualizzata ed aziendale, di riconduzione all’amore universale da parte dei giacobini di Ippocrate, per poter dire che la virale espansione dell’Aldol è direttamente proporzionale alla noia e al tedio degli psichiatri pubblici; sono ingrigiti anche loro, canuti e polverosi, come una religione defunta ma senza chierici che possano davvero tradire. Compilano scartoffie, redigono rapporti, spazzolano casellari e formulari, impilano tomi e riviste scientifiche ma più come forma di routine quotidiana che non per pratica necessità – non hanno relazioni con gli internati, con gli alienati, coi pazzi, li cloroformizzano in massa, in serie, alla stregua di una catena di montaggio, o di smontaggio, mentale.
Uno di loro ha una epifania, trova il vello d’oro, il farmaco più comodo per fottere i cervelli e gli altri vanno dietro. In scia.
Lo psichiatra finisce con gli zingari dopo un vacuo ammiccamento alla fratellanza tra compiti istituzionali, dicendo ah pure voi ne sapete, ne vedete, magistrati che non sanno che pesci pigliare, leggi incasinate, spiaccica le parole in maniera abbastanza blesa e poco confortante, anche lui evidentemente conferisce all’Aldol una valenza cupamente salvifica e lo rifila a psicotici, paranoici, violenti di ogni genere e risma, senza grande analisi comportamentale e personale, ma ora il suo nemico è il magistrato, il magistrato come concetto, dice che ha uno zio consulente del Tribunale del Riesame, ah là noi contiamo si il nostro parere è quasi fondamentale.
Metagiuridico, mi spiattella, è il motto del trionfo degli psicanalisti sui giuristi, il lascito di un conflitto nemmeno tanto carsico tra due mondi e due linguaggi convenzionali che combattono all’arma bianca, senza tregua, senza sosta.
Senza dignità, ovviamente.

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