domenica 4 dicembre 2011

Frammento VIII



Cantante lirico di qualche, esiguo e giovanile, successo, una laurea in storia dell’arte, qualche ospedalizzazione per depressione e un tentativo di suicidio, cure istituzionalizzate al CIM, quel genere di posto, e non me ne abbiano i posti in generale, dove si preferiscono i Cattelan ai Van Gogh, perché Van Gogh era pazzo e fosse per la psichiatria oggi staremmo con le cucine Aiazzone spacciate per arte.
Orazio, si chiama.
Orazio qualcosa. Cinquantuno anni di strada e vagabondaggio, senza però l’assoluzione coranica dell’eremita, senza il calore umano di un Saint Benoit, senza quelle pulci sante, senza un Klossowski pronto a decantarne le lodi – summa iniuria, i pompini per dieci euro alla Stazione Termini, nei bagni e ai binari morti, dietro la mensa Caritas, dove una fauna antropologicamente preoccupante si taglia i capelli in capannelli abbarbicati al cemento, beve Tavernello catramoso, inala esalazioni immonde, inganna il tempo uccidendo il tempo, gnostici delle croste con coperte e cartoni e vestiti arlecchineschi di toppe e merda, alcolisti depressi transfughi dalla repubblica democratica fondata sul lavoro perché sia la democrazia che il lavoro sono tocchi fumanti di cacca.
O cacchina, se vogliamo mantenerci in linea con i parametri gentili dei vigilantes che senza potere, senza attribuzioni e senza funzioni, ordinano imperiosi e coatti ai barboni di sciamare fuori dalla Stazione perché infastidiscono, non per qualche motivo precipuo ma solo per mera ontologia, i turisti.
I turisti aristocratici tedeschi e americani vestiti di infradito e canotte ravanate e sporche di chiazze pezzate e olezzanti di sudore, aristocratici proprio e dai modi raffinati, cortesi, educati, poco vocianti soprattutto – e questa brava gente turistica che viene a Roma per mangiare  pizza e cappuccino assieme alle ore diciotto come nemmeno nei semolini ospedalieri, questa brava gente che ci considera un museo a cielo aperto, o meglio una Disneyland rudimentosa popolata da buzzurri italioti molto Jersey Shore, questa gente non può sopportare i barboni, i malati mentali, e vuole la patina universale dell’amore, tutto felice candido e patinato, come le bombe intelligenti e gli olocausti democratici, questa gente caca in testa agli Orazio di tutto il mondo perché ha ferie limitate e mica può rovinarsele con magagne nella Disneyland della pizza e del mandolino.
Orazio lo prendeva nel culo e spompinava altri vagabondi, e vecchi di cattive speranze, loro almeno con una sostanza speranzosa, che nelle notti invernali tetre e gotiche come si conviene ad un orrore insondabile, ad una differita dall’inferno con la sigla della Champions League, andavano ogni minuto nei corridoi interrati della Stazione, reclamando sesso promiscuo e sporco, perché la sporcizia ci rende liberi, come disse ad Orazio un deportato pedofilo ancora tatuato prima che la body art esplodesse in senso metafisico.

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