lunedì 5 dicembre 2011

La mia Confessione



Un monolite di carne spuntato dal nulla, e nel nulla finito - una corsa disperata contro le assi di cemento di un cantiere, il corpo riverso nella settimana enigmistica tra punti nodali da ricongiungere e le frattaglie e una scia di sangue che cola sfruttando la libertà della pendenza, irrorando di rosso purpureo, pieno, vitale la faccia anodina di questo quartiere del cazzo.
Le urla lambiccano la mente, fendendo il vago silenzio elettronico e il blu artigliante dei lampeggianti e i verbali di sequestro e la fettuccia metrica e la consistenza pesante della morte, laocoontiche configurazioni di anatomia power electronics copertine ed artwork e fotografia di Tsurisaki e Murder in Rotterdam e Faces of Death in tempo reale, senza differita, senza infingimenti gagliardi o pietosi, l'aroma della morte, la testa spaccata resa poltiglia macilenta col cervello ad inondare il cruscotto di una Land Rover e un braccio, o quel che appare a prima vista un braccio, nonostante la visibilità stia scemando per il freddo notturno e per il vento e per i fumi di scarico delle case, delle povere case, delle baraccopoli, un sotto-mondo debordante, orrendo, e meraviglioso, di carni straziate e dolore e riconoscimento e dita puntate e anatomopatologi che smangiucchiano frittate con gli spaghetti nell'asettico bunker della medicina legale, sento gracchiare le radio, sento piangere dei parenti delle fidanzate delle persone sconvolte, volti cianotici per lo shock per il dolore per la scoperta di tutta una alterata casistica, vagamente psichedelica, di elezioni di domicilio di procure di nomine di legali di rilievi scrupolosi ma noiosi e di domande insistenti, puntute, che si rincorrono tragiche e rinsecchite come l'artaudiana inondazione di corvi neri, porco dio bofonchio mentre vedo una ciurmaglia di sbronzi ebeti intenta a fotografare per i loro blog ogrish e rotten e simile paccottiglia, e non mi indigno per il rispetto mancato, chè il rispetto mancato è caratteristica fondamentalmente pure mia, con la collezione di nefandezze e necroatrocità assortite, ho questo brivido assortito di disgusto nel vederli diligenti, apparentemente normali e senza dubbio alcuno con viaggio andata e ritorno prenotato per Sharm, sole di plastica e convenienza esistenziale.
Che cazzo me ne frega, devo indurirmi mentre riavvolgo la fettuccia e scorgo il barlume folle e sofferente di pianto di una madre, di una donna che ha tutta l'apparenza sconclusionata di una madre a cui un destino beffardo, per tramite di un camionista poco accorto e di un polacco alla settima birra grande, ha strappato figlio e affetto eterno.
Che cazzo me ne frega, che cazzo te ne frega, che cazzo ce ne frega, a tutti, abbracciamoci e cantiamo, intoniamo uno stronzo inno abissale di indifferenza, mentre la notte è piena, nera, vorace, i motorini sfrecciano incuranti attorno e lungo la delimitazione a nastro giallo, e i lavori e le ricostruzioni e il pianto e la folla che rumoreggia spintona si eleva sopra mari di nebbia vomitando bile e stronzate ipocrite e banalità esponenziali. Io l'avevo detto, nelle sue varianti, nelle sue sfumature.
Quanta morte dovranno ancora vedere, inalare, somatizzare per comprendere che non contano le vite spezzate, o le frasi a refrain di malinconica impotenza o i consuntivi o i bilanci o la manutenzione ?
Già, non me ne frega un cazzo. Statistica. Precompilata, la vita finita su grafico, unendo gli immaginifici puntini di una tetra messa in scena, di una pantomima - cosa vogliono comunicarmi ?
Cosa vorrebbero comunicarmi ?
Forse non sono abbastanza convincente nella mia comunicazione non verbale di diniego - guardo per vedere, non faccio come loro che guardano per essere notati, con gli occhi a palla e schizzatissimi appuntati su ogni punto della linea d'orizzonte, ciechi ma guardinghi, evitano con voli troppo radenti le budella affastellate lungo il ciglio stradale e che le divise bianche della mortuaria vanno ricomponendo pezzo a pezzo.
Devo pisciare - eccolo un pensiero risolutivo, pesante, in grado di astrarmi sopra e aldilà di questa schiumante massa, per quanto equivoco, o indelicato, possa essere il dover svuotare la propria vescica mentre una donna, a pochi passi di distanza, svuota la sua sofferenza con lacrime sempre più copiose, e gli occhi arrossati e doloranti.
Attorno non scorgo spazi che siano di aiuto.
La mia personale lotta contro il piscio si sublima in una catartica e redimente ed analitica considerazione su Ultima Fermata a Brooklyn, di Selby Jr., un romanzo che odora e che sa di piscio, di bidoni smondezzati e smangiucchiati e rovinati accatastati contro il grigiore insensato di una metropoli che è New York ma che cazzo potrebbe pure essere Roma, questa Roma.
Ho deciso di tenermela, di sfruttarla come fattore di accelerazione, una fretta schematica ed autoimposta che informi la mia personale agenda che devo sbrigarmi e che devo invitare, no proprio convincere gli altri a sbrigarsi, meticolosi e puntuti certo, ma veloci, celeri, desiderosi tutti di tornare ai nostri siti porno internet da scartabellare nel calduccio confortante di casa.
E questa donna che piange, che si strazia, che inala copiose boccate di aria mortale, avrà un cesso bellissimo, maiolicato, piastrellato, largo, dentro cui pisciare e cagare e leggere e fare bagni schiumosi, ma ora ha perso suo figlio e non potrà confortarmi. Dio, proprio no.

Nessun commento:

Posta un commento